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5 Luglio 2022

Certificazione attività di R&S: di cosa si tratta?

Nell’ultimo periodo il Tax Credit per le attività di ricerca e sviluppo è stato al centro di diverse polemiche: numerosi i controlli dell’Agenzia delle Entrate e altrettanto numerose le sentenze pro-contribuente che giudicano negativamente l’operato delle Autorità in merito all’inopportuna qualifica tecnica dei progetti rendicontati.

Per mediare la forte incertezza il Legislatore è intervenuto anche con lo strumento della sanatoria, ulteriore istituto che vede numerosi pro e contro.

Serve maggiore certezza normativa

Già con la Legge di Bilancio del 2020, il Legislatore era intervenuto per dare maggiore chiarezza alla normativa esistente, splittando il precedente credito in tre sotto crediti: 

  • uno per le attività di ricerca e sviluppo, 
  • uno per quelle di innovazione tecnologica 
  • e un ultimo credito di imposta per le attività di design e ideazione estetica.

Al fine di evitare ulteriori problemi e non alimentare il pregiudizio del contribuente un utilizzo consapevole e corretto del credito di imposta (che ha già perso appeal dal punto di vista di risparmio di imposta, oltre al timore di ripercussioni future), si è intervenuti in ultimo nel Decreto-legge Semplificazioni.

La nuova certificazione del credito

All’art. 23 del Decreto Semplificazioni viene infatti inserita la facoltà, per i contribuenti che hanno rendicontato o vogliono rendicontare attività di ricerca e sviluppo, innovazione tecnologica, ideazione estetica e design, di richiedere una certificazione che qualifichi i propri progetti alla luce del credito di imposta previsto.

Non si tratta quindi di un documento utile ai fini fiscali (vedi la certificazione contabile obbligatoria per l’utilizzo in compensazione del credito), bensì di una sorta di riconoscimento della bontà di quanto realizzato da un’impresa.

Potrà essere richiesta anche per le attività con obiettivi di innovazione digitale 4.0 e di transizione ecologica, ma sembra non sia valida per il precedente credito di imposta.

La nuova certificazione del credito: pro e contro

Saranno necessari ulteriori approfondimenti da parte del Legislatore e dei Ministeri di competenza, ma sulla base di quanto indicato in Decreto è possibile già stimare i benefici del nuovo istituto.

Iniziamo dai pro

È innanzitutto una facoltà e non un onere, il che fa sì che la certificazione non aggravi ulteriormente l’iter di ottenimento e utilizzo del credito, che ricordiamo, è una misura automatica (seppur soggetta a limiti e requisiti).

Permette di evitare possibili ripercussioni da parte dell’Agenzia delle Entrate: è di fatto un mezzo che permetterà al contribuente di far vantare la qualifica delle attività rendicontate, evitando che si contesti la natura intrinseca dei progetti (come in precedenza avvenuto). Per contro però è importante specificare che il possesso della certificazione non evita del tutto l’attività di controllo dell’Agenzia. Questa potrà comunque del caso aprire un contenzioso nel caso in cui ci sia difformità tra le attività riscontrate dall’Amministrazione finanziaria e quelle oggetto di certificazione. Volendo semplificare: nel caso in cui si siano certificate attività non realmente realizzate, allora non potrà utilizzarsi il documento contro l’Agenzia delle Entrate.

Passiamo ora ai contro

Sarà previsto un apposito albo di certificatori, che potranno avere natura pubblica o privata. Dovranno seguire le direttive del MISE e saranno soggetti a controlli da parte di un’apposita Task-force, la cui creazione è stimata nel 2023. Sulla base di questo elemento è possibile pensare che ci sia un assalto a queste figure o che tante aziende che in buona fede hanno rendicontato le attività, vedano iniziare delle attività ispettive nei loro confronti, prima di poter iniziare l’iter di certificazione.

Ulteriormente, è possibile aspettarsi che si tratti solo inizialmente di una facoltà e che venga ben presto tramutata in obbligo, anche al fine di snellire le procedure di controllo e diminuire il numero di possibili contenziosi.

Il fatto che la certificazione possa essere usata contro l’Agenzia delle Entrate fa passare un messaggio improprio al contribuente e potrebbe far scattare la “corsa alla certificazione” dando adito anche a comportamenti fraudolenti.

È importante far capire che la certificazione non costituirà un blocco per l’Agenzia delle Entrate ma permetterà solo che non venga contestata anche la natura del progetto rendicontato. Gli altri aspetti inerenti la congruità delle spese, o la tipologia di personale impegnato o ancora la modalità di redazione dei documenti, continueranno ad essere oggetto di possibile attività ispettiva. Si pensi appunto alla contestazione della congruità delle spese, che sono comunque oggetto di certificazione contabile da parte di un Revisore Legale, ossia un professionista riconosciuto.

Tanti sono gli open point ancora da risolvere, è un tassello aggiuntivo verso una normativa più trasparente e più pro-contribuente, che spezzi i propri legami con il passato, fatto di misure in bianco e lacune, che hanno permesso l’infiltrazione di condotte discutibili con conseguenti interventi massivi e altrettanto discutibili da parte della Autorità.

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