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2 Settembre 2025

Parità di genere in Europa: dati, sfide e opportunità per le imprese

Il Rapporto 2025 sulla parità di genere nell’UE redatto dalla Commissione Europea fornisce una fotografia chiara: pur essendoci stati dei progressi, la piena uguaglianza resta lontana e, al ritmo attuale, occorreranno ancora 60 anni per colmare i divari di genere in Europa.

Alcuni numeri chiave[1]

  • Occupazione: nel 2023 il tasso di occupazione femminile ha raggiunto il 70,2%, con un divario occupazionale di 10,2 punti percentuali rispetto agli uomini, il più basso dell’ultimo decennio;
  • Impatto della genitorialità: tra le persone di età compresa tra i 25 e i 54 anni con figli, il tasso di occupazione femminile è del 74,9% contro il 91,9% degli uomini, con un divario di 17 punti percentuali;
  • Part-time: il 31,8% delle madri lavoratrici sceglie il part-time, a fronte del 5% degli uomini con figli;
  • Divario retributivo: il gender pay gap medio resta al 12%, con una punta del 19% in Lettonia;
  • Pensioni: le donne di età compresa tra i 65 e i 79 anni ricevono una pensione del 25,4% minore degli uomini della stessa età, traducendosi in una maggiore esposizione delle donne al rischio di povertà in età avanzata;
  • ICT e settori strategici: le donne rappresentano appena il 19,4% degli specialisti ICT, con un forte impatto sul futuro digitale e competitivo dell’Europa.

Questi dati mostrano come il persistere degli stereotipi di genere e la diseguale distribuzione del lavoro di cura pesi sulle carriere femminili. Questo non è solo un problema sociale, ma per le imprese ciò significa perdita di competitività, minor capacità di innovazione e difficoltà ad attrarre risorse qualificate, costituendo quindi anche un problema economico: secondo le stime, un maggiore equilibrio potrebbe far crescere il tasso di occupazione complessivo fino all’80% entro il 2050.

Esempi di buone pratiche dall’Europa

Il rapporto mette in luce esperienze concrete che possono ispirare le aziende:

  • l’Estonia ha sviluppato Pay Mirror, uno strumento digitale che fornisce alle imprese dati dettagliati sul proprio gender pay gap, favorendo trasparenza e azioni correttive;
  • l’Austria ha lanciato Equal Pay Netz, una rete di quattro regioni pilota (due nel turismo e due nell’industria), dove istituzioni ed esperti collaboreranno per analizzare e ridurre i divari salariali;
  • la Finlandia porta avanti da anni programmi nazionali di parità salariale, con l’obiettivo di abbassare il divario al 14,5% entro il 2027;
  • Spagna e Portogallo investono in progetti educativi per contrastare stereotipi e prevenire la violenza di genere, formando le nuove generazioni a riconoscere i comportamenti discriminatori.

La Certificazione della parità di genere

In Italia, dal 2022 è attiva la Certificazione per la parità di genere UNI/PdR 125:2022, che definisce indicatori (KPI) su sei aree fondamentali: cultura e strategia, governance, processi HR, equità retributiva, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.

Le imprese certificate ottengono premialità nei bandi pubblici, sgravi contributivi e punteggi aggiuntivi negli appalti. Questo trasforma la parità di genere da impegno etico a leva di competitività concreta.

Le aziende che si certificano:

  • rafforzano la propria attrattività per i talenti;
  • migliorano la reputazione presso clienti, investitori e stakeholder;
  • accedono a incentivi e premialità pubbliche;
  • si preparano agli obblighi di trasparenza salariale introdotti dalle nuove direttive europee.

A luglio 2025 erano 8.798 le aziende che hanno ottenuto la Certificazione della parità di genere, che ad oggi è la quarta, per diffusione, dopo le certificazioni ISO 9001 relativa ai sistemi di gestione per la qualità, ISO 14001 per i sistemi di gestione ambientale e la ISO 45001 per la sicurezza sul lavoro.

La Direttiva (UE) 2022/2381 “Gender Balance on Corporate Boards”

Dal 30 giugno 2026, le grandi società quotate dovranno garantire almeno il 40% di presenza femminile nei consigli di amministrazione non esecutivi o il 33% nei board complessivi. La norma introduce anche procedure trasparenti di selezione, per ridurre il rischio di nomine meramente simboliche e promuovendo processi meritocratici.

In caso di mancato rispetto, gli Stati membri dovranno prevedere sanzioni effettive e dissuasive, che potranno includere multe o l’annullamento delle nomine irregolari.

Per le imprese italiane, già abituate alla legge Golfo-Mosca (che dal 2011 ha imposto quote di genere nei CdA delle società quotate e controllate pubbliche), questa direttiva rappresenta un ulteriore passo avanti: non solo mantenere i livelli di rappresentanza raggiunti, ma consolidarli e ampliarli anche alle posizioni esecutive e ai processi di governance.

In pratica, la Direttiva non si limita a “contare le presenze”, ma spinge le aziende a integrare la diversità di genere nella governance come elemento di sostenibilità e competitività, in linea con le logiche ESG e con le aspettative degli investitori istituzionali.

La Direttiva (UE) 2023/970 sulla trasparenza retributiva

Oltre agli obiettivi di equilibrio nei CdA, l’Unione Europea ha introdotto la Direttiva (UE) 2023/970, che rafforza il diritto alla parità retributiva tra donne e uomini. Dal 7 giugno 2026 le aziende dovranno garantire maggiore trasparenza nei processi retributivi, fornendo informazioni chiare sui criteri di determinazione degli stipendi e consentendo ai dipendenti di conoscere il livello salariale medio per categorie di lavoratori comparabili.

Le imprese con più di 100 dipendenti saranno inoltre tenute a pubblicare report periodici sul divario retributivo di genere e, qualora emergano differenze superiori al 5% non giustificate da fattori oggettivi, dovranno avviare un processo di valutazione congiunta per correggere le disparità. Questa direttiva rappresenta un cambio di passo importante: non più solo dichiarazioni di principio, ma strumenti concreti che renderanno più difficile per le aziende ignorare o rinviare l’azione sui gender pay gap.

Parità di genere ed ESG: un legame strategico

Oggi la parità di genere è anche un criterio ESG (Environmental, Social, Governance). Gli investitori istituzionali e i mercati finanziari valutano sempre più le aziende in base alla loro capacità di garantire inclusione e diversità nei processi decisionali. Avere CdA equilibrati e politiche di equità salariale non è solo un obbligo normativo, ma una leva di competitività, attrattività e reputazione. Integrare questi aspetti nella governance aziendale significa migliorare il posizionamento dell’impresa nelle valutazioni ESG e attrarre capitali, clienti e talenti.

 

[1] I dati di seguito riportati fanno riferimento all’anno 2023

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